Archivio per marzo 2018

LA VENERE PERTURBANTE | The Anatomical Venus | Un saggio di Joanna Ebenstein

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 34 – Marzo 2018

VERSIONE SFOGLIABILE

Penetrare il corpo per penetrare Dio. Le Veneri anatomiche – grottesche e seducenti statue scomponibili costruite tra XVIII e XIX secolo al fine di illustrare l’anatomia femminile nei musei, nei panottici e nelle fiere popolari – rappresentano la somma incarnazione del diktat illuministico. La particolare congiuntura storica che le ha partorite tradisce però un confine molto labile tra Scienza, Arte e Religione, ed è in questo contesto ibrido che dobbiamo inquadrarle se vogliamo comprenderne la natura complessa e inquietante in equilibrio tra naturalia e artificialia. Con le Veneri anatomiche, o “cere anatomiche di donne giacenti”, il corpus claustrale medievale letteralmente si schiude per svelare, strato dopo strato, il prodigioso operato di Dio. Capolavori ceroplastici di straordinaria e raffinata fattura, queste sleeping beauty urtano la nostra sensibilità contemporanea suscitando quello che Sigmund Freud definiva come unheimlich, il sentimento del perturbante. (continua a leggere)

OPPRESSORI E OPPRESSI | Mirbeau contro la folle ottusità del potere | La Vacca picchiettata e altre strane storie

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 34 – Marzo 2018

VERSIONE SFOGLIABILE

Il Mirbeau che difende Rodin dall’ottusità accademica, che si espone a favore di Dreyfus, che condanna senza mezzi termini l’ingessata mediocrità delle istituzioni e le ingerenze clericali, che prende le distanze dal giornalismo servile, che libera la letteratura dallo spettro delle belle lettere, è lo stesso che, nella più ampia delle prospettive civili, si schiera dalla parte degli oppressi contro gli oppressori. Operando un coraggioso rovesciamento della piramide gerarchica Mirbeau, con compiaciuta irriverenza, denuda la spocchiosa arroganza dei padroni dando voce alla pena degli ultimi. (continua a leggere)

HIJRA | Nascere donna in un corpo di uomo a Mumbai | La gabbia dei fiori | di Anosh Irani

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 34 – Marzo 2018

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Mumbai (chiamata Bombay fino al 1995), capitale dello stato del Maharashtra, è la seconda città più popolosa dell’India. Conta la bellezza di tredici milioni di abitanti, che salgono a ventuno se si includono le vaste periferie. Mumbai proviene dalla commistione di “Mumba” o “Maha-Amba”, riconducibili al nome della dea indù Mumbadevi, e da “Aai”, che in lingua marathi significa “madre”. Un agglomerato immenso, labirintico, affacciato sul mar Arabico. A Mumbai – come ci racconta lo scrittore indiano, canadese d’adozione, Anosh Irani nel romanzo La gabbia dei fiori(Piemme, 2017) – la miseria ha volto di donna. Una miseria materiale e spirituale consegnatale in eredità da secoli e secoli di assoggettamento. Sotto la donna, molti gradini più sotto, ammantata d’una sorta di meta-umanità, c’è la hijra. (continua a leggere)

IL RITORNO DEL PRIGIONIERO| La pelle e le ossa | Riscoprire Georges Hyvernaud

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 34 – Marzo 2018

VERSIONE SFOGLIABILE

Ci sono testi che più di altri ci restituiscono il senso profondo di un’epoca, capaci più di altri di sondare quelle spaccature che il muto avvicendarsi delle generazioni rimargina velocemente. Alla storia scritta dagli storici, che «non ha odore», Hyvernaud contrappone tutto l’indicibile e l’inenarrabile di una storia scritta dall’interno, sovrascritta come cucitura su lacerazione, intraducibile per definizione, testimonianza nuda dell’esperienza vissuta in prima persona. Di guerra e deportazione «gli storici ne parleranno nei libri, con frasi pulite, ben fatte (…) e disegneranno cartine con frecce e cerchietti per spiegare com’è andata.» Frasi come: “I tedeschi, durante la campagna di Francia, fecero due milioni di prigionieri” riferiscono un dato oggettivo ma non raccontano la verità degli uomini. Con La pelle e le ossa (1949) lo scrittore francese Georges Hyvernaud (1902-1983) valica il reticolato del documento memoriale e, attraverso una fredda disincantata disamina, impronta coraggiosamente una dolorosa riflessione sulla miseria umana. Quando scrive, a distanza di quattro anni dalla liberazione, Hyvernaud è ancora un prigioniero e lo resterà per sempre. Il ritorno è solo apparente. Da lì, da luoghi come quelli, non si ritorna più. (continua a leggere)