Scoprire, svelare, togliere il velo. Spogliarsi, finalmente, di ogni impostura. Non sono forse i fantasmi ad agitarsi sotto i lenzuoli? Messa a nudo la verità si manifesta in tutta la sua limpida trasparenza. I tempi, ora, forse sono sufficientemente maturi per iniziare la svestizione, nel nome di una Civiltà necessaria, irrinunciabile. La donna, in particolare – così avvolta, appallottolata in una sottocultura che la vuole più femmina-madre che persona – farebbe bene ad affrancarsi sia dai burqa d’Oriente che dai botox d’Occidente. In questo numero la nostra riflessione si spinge oltre il velo, oltre gli intrighi di certe trame, oltre quelle ragnatele che hanno attecchito tra le culture e le religioni. Al velo che copre, ammanta e censura ben si farebbe a opporre il velluto di un sipario che si spalanca sullo spettacolo autentico e nudo della vita, una vita imprevedibile che per sua natura non assegna ruoli fissi ma solo opportunità. Ai metri e metri di tessuti luttuosi (tuniche, tonache o altre palandrane) e agli orditi sintetici (patine siliconiche o altri innesti sottocutanei) ci sentiamo di preferire le mise più adamitiche, figlie primogenite di un’umanità sana e naturale. Oltre il velo c’è dunque la persona, ed è a questa che bisogna guardare per poterla riconoscere e apprezzare nella sua unicità. La copertina ideata da Iano, significativamente intitolata “VE LO DO IO”, vuol far riferimento proprio a questo; nell’icona però, come in un gioco di specchi, è un’impacciata figura maschile a indossare il velo, nel caso specifico una veletta, che lo traspone in una condizione d’improbabile vedovanza (le ragnatele alle sue spalle rimandano a tradizioni e convenzioni obsolete e, al contempo, a temibili trappole). Amedit, giunta al suo ventesimo numero, desidera ringraziare ancora una volta tutti i suoi lettori, e un ringraziamento particolare va agli sponsor che con puntualità e coraggio sostengono orgogliosamente il nostro progetto. (Continua a leggere)