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RON MUECK | Ovvero l’altra proporzione

Lo scultore iperrealista australiano Ron Mueck nasce a Melbourne nel 1958. Figlio di giocattolai di origine tedesca, muove i suoi primi passi tra bambole e burattini, e le sue prime attività lavorative, una volta trasferitosi in Gran Bretagna, si concentrano fin da subito sul mondo dei pupazzi, dei cyborg e degli automi. Lavora per la televisione (specie programmi per bambini), per la pubblicità e per il cinema (nel 1986 collabora attivamente alla realizzazione dei personaggi del filmLabyrinth, regia di Jim Henson). L’esordio come artista, piuttosto tardivo, è databile intorno alla metà degli anni Novanta. Tra il 1996 e il 1997 realizza la scultura Dead Dad(Papà morto, opera esplicitamente dedicata a suo padre) che, presentata alla Royal Academy di Londra all’interno della mostra “Sensation”, attira subito l’attenzione dell’agente e collezionista d’arte Charles Saatchi. Un incontro fortunato e determinante. Da questo momento la carriera dell’artista australiano sarà sempre in salita. Ad oggi, come scultore iperrealista non ha rivali, né dal punto di vista strettamente tecnico né per quel che concerne la notorietà internazionale. Mueck, fin dall’inizio, sceglie di spingersi ben oltre gli emuli di Duane Hanson, ben oltre quell’iperrealismo di scuola anni Settanta – Ottanta finalizzato all’inganno visivo. (Continua a leggere)

AMEDIT MAGAZINE, n° 20 – Settembre 2014

Scoprire, svelare, togliere il velo. Spogliarsi, finalmente, di ogni impostura. Non sono forse i fantasmi ad agitarsi sotto i lenzuoli? Messa a nudo la verità si manifesta in tutta la sua limpida trasparenza. I tempi, ora, forse sono sufficientemente maturi per iniziare la svestizione, nel nome di una Civiltà necessaria, irrinunciabile. La donna, in particolare – così avvolta, appallottolata in una sottocultura che la vuole più femmina-madre che persona – farebbe bene ad affrancarsi sia dai burqa d’Oriente che dai botox d’Occidente. In questo numero la nostra riflessione si spinge oltre il velo, oltre gli intrighi di certe trame, oltre quelle ragnatele che hanno attecchito tra le culture e le religioni. Al velo che copre, ammanta e censura ben si farebbe a opporre il velluto di un sipario che si spalanca sullo spettacolo autentico e nudo della vita, una vita imprevedibile che per sua natura non assegna ruoli fissi ma solo opportunità. Ai metri e metri di tessuti luttuosi (tuniche, tonache o altre palandrane) e agli orditi sintetici (patine siliconiche o altri innesti sottocutanei) ci sentiamo di preferire le mise più adamitiche, figlie primogenite di un’umanità sana e naturale. Oltre il velo c’è dunque la persona, ed è a questa che bisogna guardare per poterla riconoscere e apprezzare nella sua unicità. La copertina ideata da Iano, significativamente intitolata “VE LO DO IO”, vuol far riferimento proprio a questo; nell’icona però, come in un gioco di specchi, è un’impacciata figura maschile a indossare il velo, nel caso specifico una veletta, che lo traspone in una condizione d’improbabile vedovanza (le ragnatele alle sue spalle rimandano a tradizioni e convenzioni obsolete e, al contempo, a temibili trappole). Amedit, giunta al suo ventesimo numero, desidera ringraziare ancora una volta tutti i suoi lettori, e un ringraziamento particolare va agli sponsor che con puntualità e coraggio sostengono orgogliosamente il nostro progetto. (Continua a leggere)