Archivio per dicembre 2016

WARME BRÜDER | I Fratelli caldi della Berlino prehitleriana

Su Amedit n. 29 – Dicembre 2016.

Grazie a quali particolari contingenze storiche, sociali, economiche e politiche si è andata delineando per la prima volta la consapevolezza di una identità e di un orientamento omosessuali? È possibile rintracciare un’origine, la scintilla che ha innescato il prodigioso incendio? La tesi sostenuta da Robert Beachy nel monumentale saggio Gay Berlin. L’invenzione tedesca dell’omosessualità – tradotto in Italia da Angelo Molica Franco (Bompiani, 2016) – è che l’origine della graduale acquisizione di un’identità omosessuale vada rintracciata nella Germania della seconda metà dell’Ottocento, e più nello specifico a Berlino. L’analisi di Beachy, puntuale e dettagliata (prodiga di rimandi bibliografici) si snoda lungo un arco temporale che va grossomodo dal 1869 – anno in cui il termine Homosexualität (curioso impasto di latino e greco) fece la sua comparsa all’interno di un pamphlet tedesco che si opponeva allo statuto antisodomia prussiano – al 1933, l’anno nero della nomina di Hitler a cancelliere del Reich.

Sottoculture omosessuali premoderne sono rintracciabili in diverse epoche del passato (dall’età rinascimentale a quella illuminista), ma è solo nella nascente nuova metropoli a cavallo tra ‘800 e ‘900 che si vanno configurando le prime comunità organizzate; Berlino sotto quest’aspetto ha rivestito un ruolo cruciale (più di Parigi o Londra), agendo come una calamita e divenendo man mano un punto di riferimento se non una vera e propria mecca per tutte quelle esistenze non allineate. Nel cuore elettrico e scintillante di Berlino confluiscono a più riprese poeti, scrittori, artisti, scienziati, medici da ogni angolo d’Europa, attirati dalla fertile cultura cosmopolita e da quel clima di relativa libertà garantito dal frenetico processo di urbanizzazione; la popolazione in continuo aumento favoriva inoltre l’anonimato, un requisito come vedremo più avanti assolutamente fondamentale, perché a seconda delle situazioni essere schwul era un reato al contempo tollerato e perseguito. (LEGGI TUTTO)

 

Berlino 1933 | LA SEDUZIONE DEL CAMERATISMO | Un tedesco contro Hitler | Una testimonianza di Sebastian Haffner

Su Amedit n. 29 – Dicembre 2016.

Il 5 marzo 1933 la maggior parte dei tedeschi aveva votato contro Hitler. «Che ne è stato di questa maggioranza?» si chiede lo scrittore e storico tedesco Sebastian Haffner nel racconto autobiografico Geschichte eines Deutschen (Un tedesco contro Hitler, riproposto quest’anno da Skira nella traduzione italiana di Claudio Groff). Quest’enigma nella genesi del Terzo Reich sembra sciogliersi nelle logiche, squisitamente tedesche, del cosiddetto “cameratismo omosociale”, e più in generale in quelle subdole strategie di persuasione messe in atto dall’intellighenzia nazista per assicurarsi un gregge mansueto e orgogliosamente ubbidiente. Haffner vive questi eventi in prima persona, sperimenta sulla sua pelle quel processo di disumanizzazione così abilmente orchestrato per generare l’ebbrezza del consenso, l’aderenza incondizionata ai dettami del monstrum. (LEGGI TUTTO)

 

MAPPLETHORPE | Look at the pictures | Un lungometraggio su Robert Mapplethorpe

Su Amedit n. 29 – Dicembre 2016.

The Perfect Medium, l’ultima grande retrospettiva sull’opera fotografica di Robert Mapplethorpe, ha chiuso i battenti il 31 luglio 2016 presso il Getty Museum di Los Angeles. Quest’anno al Sundance Festival di Berlino è stato presentato il docufilm Robert Mapplethorpe: Look at the pictures dei registi Fenton Bailey e Randy Barbato (proiettato nelle sale italiane tra ottobre e novembre, e pubblicato da Feltrinelli nella collana Real Cinema); girato tra Stati Uniti e Germania, prodotto da HBO, il lungometraggio ha il merito di mettere a fuoco senza edulcorazioni l’autenticità del lavoro di Robert Mapplethorpe, un lavoro ormai al riparo da quei giudizi spiccioli che invano negli anni hanno tentato di demolirne il valore artistico e di ridimensionarne l’importanza sul piano estetico-formale. I registi – avvalendosi di testimonianze, racconti di collaboratori, amici, parenti e di interviste inedite all’artista – hanno scelto di rendere protagoniste le fotografie, dai primi scatti occasionali dell’adolescenza alle icone patinate dell’età adulta. Complici il delicato commento musicale di David Benjamin Steinberg e il buon montaggio foto-cinematografico di Langdon Page, Look at the pictures ci restituisce il ritratto caravaggescodi un Robert Mapplethorpe al contempo angelico e maledetto, innocente e colpevole, tenero e violento, creativo e autodistruttivo, talmente esposto da apparire casto, sempre in bilico (ma perfettamente a suo agio) su quella sottile linea di confine tra i salotti esclusivi del bel mondo newyorkese e i locali fetish-underground del sesso estremo (primo fra tutti il celebre “The Mine Shaft”, al 835 di Washington Street). (LEGGI TUTTO)